![]() |
![]() |
Il libro ha un titolo particolare. In esso giocano un ruolo importante i segni tipografici delle virgolette perchΘ, tra l'altro, Φ del messaggio "Questo Φ un gioco" che si vuole parlare.
Non si tratta di un testo semplice, e tantomeno di un testo di divulgazione. Anche perchΘ esso non ha uno sviluppo propriamente compiuto, ma raccoglie le riflessioni fatte, in risposta agli stimoli di Bateson, dagli scienziati convenuti.
Il concetto di gioco Φ il filo che collega i diversi interventi. Il livello della riflessione Φ profondo, spesso chi parla torna sui propri passi e corregge affermazioni appena fatte: pi∙ che ad affermare, in realtα, ci si interroga nel tentativo di cogliere gli aspetti pi∙ sfuggenti del gioco. Alle esperienze dei singoli convenuti, condotte in campi diversi ma correlati, si attinge nell'intento di dare concretezza alle svariate ipotesi che di volta in volta vengono formulate.
Una parte non indifferente del libro in parola Φ dedicata al tentativo di dare una definizione di gioco. Molte sono le cose che vengono dette in merito e non sempre c'Φ convergenza tra le opinioni dei diversi scienziati. Certo Φ che nel tentativo il gruppo si spinge a discorrere sulla teoria Russelliana dei tipi logici: l'obiettivo viene considerato alquanto seriamente e non ci si risparmia nel cerare di raggiungerlo.
Per farsi un'idea conviene entrare almeno un po' nel merito della questione.
Tutto ci≥ che esiste pu≥ essere idealmente suddiviso scegliendo come discriminante il possesso di un certo insieme di proprietα. Bateson, per esempio, divide il mondo tra sedie e cose che non sono sedie. Il dibattito procede speditamente verso la conclusione che l'insieme delle non sedie Φ determinato dalle caratteristiche che ciascun individuo ritiene debba possedere un oggetto affinchΘ possa essere considerato una sedia. In seconda battuta si arriva a stabilire che tale insieme Φ dotato di struttura a buccia di cipolla: un tavolo si trova in una buccia molto pi∙ vicina al nucleo delle sedie rispetto a quella in cui si trova un arcivescovo, essendo molto meno diverso da una sedia. Un oggetto astratto come il domani si trova ovviamente in una buccia ancora pi∙ esterna, e cos∞ via.
Proseguendo su questa via il gruppo arriva ad una interessante ipotesi di definizione del gioco: giocare significa sperimentare la propria capacitα di strutturare ci≥ che esiste in modi differenti, in base a caratteristiche variabili in una successione determinata dall'attitudine ad attraversare le bucce di strutture sempre provvisorie. Tale attitudine si manifesta essenzialmente come gioco, a patto di riuscire a comunicare che di gioco si tratta, cioΦ di trasmettere il messaggio "questo Φ un gioco" che del libro in questione Φ il titolo.
L'esempio che si fa Φ quello di un bambino che gioca a fare l'arcivescovo. Egli sperimenta la relazione tra il proprio io e la linea di demarcazione tra arcivescovi e non arcivescovi. Tagliandola per gioco insieme a tutte le bucce della struttura egli apprende, per dirla con le parole di Bateson, "un modo di strutturarsi del pensiero nei confronti dell'universo".
La sperimentazione ludica conduce quindi alla consapevolezza dell'esistenza di categorie, di ruoli e di contesti interpretativi. L'esposizione in questo frangente Φ cos∞ chiara che conviene riportare un breve brano del libro:
Qualcuno ha detto che ci accorgiamo dell'importanza del gioco per il bambino, perchΘ Φ nel gioco che egli impara a comportarsi secondo i vari ruoli. Senza dubbio c'Φ qualcosa di vero, ma ancor pi∙ vero Φ che attraverso il gioco un individuo diventa consapevole dell'esistenza di vari tipi e categorie di comportamento. (...)Il bambino sta giocando ad essere un arcivescovo. Non mi interessa che, ricoprendo quel ruolo nel gioco, impari come essere un arcivescovo, ma piuttosto che si renda conto che esiste qualcosa come un ruolo. Impara o acquista un nuovo modo di vedere, flessibile e rigido ad un tempo, che viene poi tradotto nella vita, quando si accorge che in un certo senso il comportamento pu≥ essere legato a un tipo logico o ad uno stile. Non si tratta di imparare lo stile particolare richiesto da questo o quel gioco, ma la flessibilitα degli stili ed il fatto che la scelta di uno di essi o di un ruolo Φ collegata alla cornice e al contesto del comportamento. E il gioco stesso Φ una categoria di comportamento, classificata in qualche maniera da un contesto.
In buona sostanza Bateson ci dice che giocare a fare l'arcivescovo non Φ importante in quanto propedeutico a quella attivitα, ma alla capacitα di valutare il comportamento degli esseri umani in relazione al loro ruolo ed al contesto in cui esso viene esercitato.
Da questa premessa prende avvio la lunga serie di interventi che spaziano dallo studio degli schizofrenici, considerati alla stregua di giocatori incapaci di trasmettere e cogliere il messaggio "questo Φ un gioco", a quello del comportamento infantile o delle lontre. Si arriva a discutere della distinzione tra play e game in termini estremamente concreti, cercando di isolare del primo la componente che prevede come regola la violazione concordata delle regole del secondo. Si cerca di capire quando Φ che un gioco che comincia come tale smette di esserlo. Ci si chiede se Φ possibile prescrivere un gioco o se, invece, tentare di farlo sia un po' come chiedere di essere spontanei, cioΦ di ignorare qualunque condizionamento e quindi anche la richiesta di essere spontanei.
Insomma, il libro Φ una miniera di spunti di riflessione e merita pi∙ di una attenta lettura. Del resto le energie necessarie per comprenderne il contenuto sono certo ben spese: a noi che siamo abituati a sentire parlare del gioco come di un modo poco serio per spendere il proprio tempo, non capita tutti i giorni di sentirlo definire come non oggetto improprio in qualunque struttura onionskin che si voglia utilizzare per descrivere l'universo.
![]() [Home Page] |
![]() [E-Mail] |
![]() [Ludonet] |
![]() [Ds Net] |
![]() [Sommario] |
© Ludonet s.r.l. 1996 - Per maggiori informazioni ludonet@ludonet.it